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sabato 14 giugno 2014

QUANDO LA PAROLA CANCRO FA PAURA

Il cancro si caratterizza come un evento stressante cronico che arriva all'improvviso nella vita della persona, il cosiddetto "fulmine a ciel sereno", fino al giorno prima conducevamo magari una vita normale ricca di impegni e di idee, ed oggi quello che ci sembrava essere un futuro ricco di progetti sembra perdere il suo valore.
Affrontare il cancro significa trovarsi di fronte alla paura della morte, è qui che siamo chiamati a mobilitare tutte le nostre risorse interne migliori al fine di ricercare un nuovo adattamento e un nuovo equilibrio che è possibile, riuscire ad accettare questo evento nella nostra vita per poterlo fronteggiare coraggiosamente, come dei veri guerrieri.
La malattia neoplastica non riguarda solo il singolo individuo, ma essa si colloca nelle relazioni familiari come un evento incomprensibile, incontrollabile e imprevedibile, richiede e spinge la famiglia a riorganizzarsi a dare nuove priorità, e richiede numerosi e dolorosi traslochi emotivi.
Le reazioni di fronte alla diagnosi della malattia sono molteplici: c'è chi si chiude nel proprio dolore, chi invece coglie tale momento per mettersi a contatto con le parti più profonde di sé più autentiche , che nella vita routinaria di tutti i giorni viene trascurata, altri che diventa i più attenti dottori di se stessi si informano sanno tutto del loro problema e ne sono i protagonisti , o altri ancora che sembrano essere più preoccupati da altre vicissitudini familiari piuttosto che da quello che apparentemente potrebbe essere considerato il loro problema.
Il sostegno psicologico può diventare quello spazio in cui riscoprire il valore del tempo presente da vivere per sé e insieme ai propri cari, in un' occasione di ascolto empatico, consapevolezza e crescita personale.

venerdì 6 giugno 2014

"Valorizzare il gioco ... giocando "

Ieri 5 Giugno 2014 io, Dott.ssa Jessica Ferrante insieme alla Dott.ssa Claudia Capucci, abbiamo tenuto per conto della VIS CALCIO di Civitanova marche, un incontro con i genitori degli atleti sulla tematica dei valori nello sport, in particolare nel calcio, presso la sala convegni della Chiesa di San Carlo Borromeo.
Riassumeremo qui di seguito brevemente i concetti trattati.
Il mondo dello sport è fatto di regole, rispetto , accettazione e valorizzazione delle qualità, della consapevolezza dei propri limiti, di vittorie e di sconfitte, ma anche di delusioni.
Il genitore è utile allo sport, quando:
  1. è presente e si impegna a conoscere e capire il proprio figlio, per le qualità, i limiti, le intenzioni e i desideri.
  2. stima il figlio nonostante gli errori e i limiti ( teniamoci lontani dal perfezionismo ad ogni costo)
  3. rispetta le regole, i tecnici, gli avversari e le decisioni arbitrali
  4. fa critiche costruttive
  5. incoraggia a competere sulla base delle proprie capacità
  6. chiede direttamente al tecnico delucidazioni in merito a qualche problematica emersa, evitando pettegolezzi che danneggiamo l'ambiente
Lo sport è importante, in quanto permette lo sviluppo della sfera fisica ( postura, benessere, igiene, salute, corretta alimentazione, ecc), permette il potenziamento di aspetti psichici quali autostima, capacità empatiche, potenzia gli aspetti cognitivi del ragazzo, permettendo così nuovi apprendimenti, permette di accrescere le competenze relazionali del soggetto all'interno di un gruppo.
Non possiamo dimenticare che la squadra sportiva è essenzialmente un gruppo sociale, e va sempre sottolineato come i gruppi sono una parte inevitabile dell'esistenza umana ( gli esseri umani crescono in gruppo, lavorano in gruppo, imparano in gruppi e giocano in gruppi).
Gli esseri umani sono esseri di gruppo.
Turner afferma che un gruppo esiste quando uno o più individui definiscono se stessi come membri del gruppo e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno un'altra persona, l'altra persona può essere un singolo individuo o un altro gruppo.
L'importanza del gruppo sta nel fatto che tramite esso costruiamo la nostra identità sociale, cioè qualla parte di identità , che come dice il grande Tajfel, deriva dall'appartenenza al gruppo  unita al valore che noi attribuiamo a quel gruppo.
Facciamo un esempio se io vi chiedessi di rispondere per venti volte alla domanda " Chi sono Io ? " voi iniziereste ad esempio dicendo sono tizio, sono un figlio, sono un calciatore (faccio parte dunque di squadra / gruppo), sono uno studente della classe sez... ( quindi un altro gruppo), sono uno scout, ecc...
E' importante, dunque, dare dei modelli di riferimento sani ai giovani, che stanno cercando continuamente di rispondere alla domanda, chi sono Io ?
Può capitare che inconsciamente i genitori tendano a realizzarsi se stessi attraverso il bambino, proiettando su di lui inconsciamente i desideri che non si è riusciti a realizzare da giovani.
Molto spesso si vorrebbe che il proprio figlio non soffrisse mai, ne commetta mai errori, questo non è possibile.
Lo sport è uno dei mezzi migliori per aiutare il proprio figlio a maturare e a crescere, in quanto lo spinge ad impegnarsi e a cercare di migliorarsi sempre, a comprendere il sacrificio e l'umiltà.
Le figure di riferimento dovrebbero incoraggiare la pratica sportiva, lasciando che la scelta dell'attività sia fatta dal bambino, instaurare un rapporto con l'allenatore, lasciare il bambino libero di esprimersi in allenamento e in gara, evitare di esprimere giudizi sui compagni di gioco, evitare rimproveri a fine gara; dimostrarsi invece interessati a come il bambino ha vissuto i vari momenti della gara, aiutarlo a porsi obiettivi realistici, spronarlo al rispetto delle regole. 
bisognerebbe dare una mano a sdrammatizzare i momenti di difficoltà che il bambino vive, sostenendolo , incoraggiandolo, ascoltandolo , favorire la sua autonomia lasciando che sia quest'ultimo a farsi la doccia da solo negli spogliatoi o a prepararsi il borsone, anche se magari la prima volta si dimenticherà proprio gli scarpini da calcio... vedrete che poi non succederà più!
Come abbiamo mostrato ieri ai genitori degli atleti, vi consiglierei di vedere un pezzo del film " IL BOSS IN SALOTTO " la scena "IL BALLETTO" fa molto riflettere.
Non vi sono regole universali nell'essere genitore, ognuno interpreta il proprio ruolo in base alle proprie caratteristiche di personalità, alla propria storia personale, al modello educativo avuto dai propri genitori, alle esperienze di vita; il genitore perfetto non esiste, ma possiamo cercare ogni giorno di comprendere i nostri errori e migliorarci, facendo domani dei nuovi errori ma non più gli stessi, saremmo così dei genitori attenti ai bisogni dei nostri figli.
Negli ultimi anni capita spesso di ascoltare da parte di figure di riferimento : genitori, insegnanti e allenatori lamentele sulla difficoltà di gestire e regolare il comportamento dei propri figli.
talvolta dietro tali affermazioni si nasconde la difficoltà da parte degli adulti di sostenere efficacemente lo sviluppo, facendo si che i bambini prestino comportamenti adeguati alle situazioni, sappiano gestire i propri impulsi e prestare attenzione per un tempo ragionevole alla loro età.
Nello sport le regole servono a far si che l'aggressività che si instaura quando due o più gruppi competono per una risorsa limitata, come il primo posto in classifica , non si trasformi in violenza che nega di fatto i valori di convivenza civile. 
la norma è una scala di valore, che definisce i comportamenti e gli atteggiamenti adeguati a determinate situazioni.
Il primo apprendimento che vi vorrei  trasmette oggi, è che quando diamo una regola a casa, a scuola, all'interno di una palestra o di un  campo da calcio , dobbiamo essere coerenti con essa, non comunicare una regola e nello stesso tempo dare il messaggio che in qualche modo questa regola si possa infrangere.
Secondo apprendimento di oggi il ragazzo che scegli di impegnarsi in uno sport merita la stima, l'approvazione da parte dei genitori.
Terzo apprendimento quando comunichiamo, facciamolo attraverso una comunicazione chiara non ambigua, ad esempio " sei stato bravo, ma potevi far meglio".
Il quarto apprendimento di oggi è insegniamo la responsabilità ai nostri figli, che garantisce il senso di impegno nei confronti di una scelta presa, la responsabilità dei risultati legati alle proprie scelte, infatti è nel momento delle scelte che si determina il futuro della persona.
Lo sport , è importante perché favorisce la crescita armoniosa dell'individuo, sostiene il processo educativo dei bambini, facilita gli apprendimenti attraverso il gioco, è una filosofia di vita che tiene lontano dagli aspetti più negativi della società ( vita sedentaria, alcolismo, tabagismo e droga).
Lo sport, inoltre, rappresenta una possibilità in più di stimolare un dialogo in famiglia, tramite un tema che può accomunare il padre con il figlio o la madre con il figlio, e non in ultimo permette anche l'integrazione culturale.
Lo sport è anche il campo metaforicamente parlando in cui il bambino sperimenta e acquisisce un alfabeto relazionale, che gli permetterà di stringere rapporti amicali con i coetanei e diventare membro di un gruppo.
Non chiediamoci che amici sono gli altri per noi, ma chiediamoci che amici siamo noi per gli altri.
Lo sport insegna la lealtà, la capacità di essere franchi con se e con gli altri, lontano dal perfezionismo ad ogni costo, insegniamo ad essere e non solo ad apparire, insegniamo ad apprendere dietro le sconfitte, che riguardano tutti.
Il calcio come altri sport sono una palestra di vita, genitori e ragazzi diamoci da fare!
La dott.ssa Jessica Ferrante e la dott.ssa Claudia Capucci ringraziano la società VIS CALCIO di Civitanova Marche e i genitori e i ragazzi presenti ieri per la loro volontà e lo spirito di partecipazione alle iniziative promosse.
Se qualcuno volesse porre domande o chiarimenti lo può fare qui di seguito commentando o privatamente tramite e-mail messa a disposizione , a cui risponderemo volentieri.


venerdì 30 maggio 2014

L'IMPORTANZA DELLE FIABE

 
Ogni fiaba è fatta di immagini, un po' come le poesie; per questo arriva alla nostra interiorità, si colloca in quella terra di nessuno che è il confine tra la ragione e la fantasia, tra la veglia e il sonno, tra la luce e il buio.
Le fiabe sono l'espressione più pura e semplice dei processi psichici dell'inconscio collettivo, il linguaggio della fiaba sembra essere il linguaggio di tutta l'umanità, di tutte le razze e civiltà.
Se c'è una forma culturale al mondo con cui tutti gli esseri umani da sempre hanno avuto e hanno una certa familiarità, una forma culturale che può sembrare semplice e d'immediata comprensione questa è la fiaba.
Tuttavia è necessario fare i conti con l'assoluta complessità del genere forse a volte trascurato o confusamente compreso dalla storia della letteratura.
La fiaba trasmette come messaggio quello che soltanto chi non scappa impaurito dalle difficoltà che la vita ci pone può riuscire a superare gli ostacoli e uscirne vittorioso.
Nella fiaba sono le qualità umane ad essere ricompensate.
In una società come la nostra dove non si riconoscono più dei valori universali in cui credere e sui quali costruire la propria esistenza, credo che la fiaba possa offrire un grande contributo all'umanità attraverso il suo messaggio di speranza e ottimismo.
Le fiabe come i racconti e i romanzi, nascono dalla volontà dell'uomo di comunicare con altri uomini di diffondere e tramandare l'esperienza del bene e quella del male. In una parola: la vita.
Il linguaggio delle fiabe è quello dei narratori del popolo, in genere molto semplice a volte un po' sgrammaticato, ricco di modi di dire.
In Italia dal '600 ci furono degli scrittori che incominciarono a rielaborare le fiabe e a trascriverle usando un linguaggio più raffinato, nacque così la fiaba d'autore che divenne un vero e proprio genere letterario, fra gli autori più famosi di fiabe ricordiamo Giovan Batista Basile e Italo Calvino, in Germani vi furono i fratelli Grimm, in Francia Perrault.
La fiaba non va confusa con la favola, perché si tratta di genere narrativi diversi, nonostante derivino dallo stesso verbo latino " fari" che significa "raccontare".
Il messaggio della favola è sostanzialmente pessimistico sulla natura umana e non esclude la possibilità che vinca il più forte sul più debole; invece la fiaba è un racconto sempre a lieto fine.
La favola è un apologo, cioè un racconto essenziale privo di dettagli, che all'interno di una narrazione fantastica che ha per protagonisti gli animali rappresenta i vizi e le virtù di quest'ultimi, e racchiude un insegnamento pratico; la morale di solito è espressa all'inizio o alla fine del racconto.
Il tema di denuncia presente nella favola non presenta mai un progetto di cambiamento, vi è infatti una sorta di fatalismo.
 
PERCHE' LEGGERE LE FIABE AI BAMBINI?
 
La fiaba, come afferma Bruno Bettelheim, permette ai bambini di affrontare una serie di eventi negativi ( crudeltà, morte, abbandono...) corrispondenti alle paure reali del bambino.
Il bambino trova nella fiaba un importante momento di liberazione dalle proprie angosce.
La fiaba insegna al bambino come superare gli ostacoli della sua vita senza aggirarli, indirizza il bambino verso la scoperta della sua identità.
La fiaba suggerisce che una vita gratificante e positiva è alla portata di ciascuno nonostante le avversità.
Un bambino si fida di quanto detto dalla fiaba, perché la visione del mondo della fiaba concorda con la sua.
Le fiabe, oltre ad indicare la via verso un futuro migliore, si concentrano sul processo di trasformazione, invece di descrivere in maniera particolareggiata la felicità che alla fine verrà conquistata.
Ciò che è importante ricordare è che la fiaba non consiglia mai, ne esige o dice esplicitamente.
Nella fiaba tutto è detto in modo simbolico.
La fiaba presenta il problema e la soluzione del problema nell'unico linguaggio comprensibile al bambino quello della fantasia.
Molto spesso capita che i bambini amino una certa fiaba in un determinato periodo periodo e vogliono sempre e solo quella, questo perché è in quel momento è quella la loro fiaba, quella che parla del problema che da più vicino riguarda loro.
Se il genitore racconta con il giusto spirito le fiabe, il bambino mentre ascolta si sente compreso nei suoi più delicati sentimenti, ne suoi più ardenti desideri, nelle sue più gravi ansie e angosce.
Dare al bambino la convinzione che dopo tutte le sue fatiche un mondo meraviglioso l'attende, significa dargli la forza di crescere bene , sicuro, con senso di fiducia e rispetto verso se stesso.



martedì 27 maggio 2014

" PSICHE E CORPO: INSIEME PER UN INVECCHIAMENTO IN EQUILIBRO"

Venerdì 23 Maggio 2014 alle 21:30, si è tenuto nel Comune di Corridonia (MC) il seminario di psicologia in collaborazione con AVULSS di Corridonia, in cui si è trattato il processo di invecchiamento, i sintomi che caratterizzano la demenza e la sindrome del caregiver.
Io, Dott.ssa Jessica Ferrante e la Dott.ssa Claudia Capucci ringraziamo tutti i partecipanti e proviamo qui di seguito a riassumere i concetti trattati, in modo che tutti li possano in tal modo fare propri.

L'invecchiamento è visto e concepito in modo differente a seconda della cultura di appartenenza : in Africa l'anziano è considerato un saggio, in Asia l'anziano è l'espressione di un cammino cumulativo di perfezionamento universale, nella cultura occidentale la popolazione cosiddetta della terza età viene lasciata in una lenta e dolorosa e progressiva emarginazione.
La Demenza oggi rappresenta una delle principali patologie con cui il sistema familiare e la società in genere è chiamata a confrontarsi.
Delineiamo alcune caratteristiche essenziali della Demenza:
La Demenza è una patologia caratterizzata da una molteplicità di deficit cognitivi, che va ad alterare le seguenti facoltà:
  • MEMORIA: i soggetti hanno difficoltà ad apprendere nuove informazioni, a richiamare alla memoria informazioni già immagazzinate.
  • AFASIA, alterazione del funzionamento del linguaggio, che si manifesta nella difficoltà a ricordare nomi di oggetti e persone, uso eccessivo di termini indefiniti "questo e quello". Difficoltà a comprendere i discorsi dei pazienti.
  • AGNOSIA, incapacità di riconoscere oggetti in presenza di un'acuità visiva nella norma, che nei casi più gravi diventa una difficoltà di riconoscere i propri familiari i propri ambienti.
  • APRASSIA, incapacità di eseguire serie motorie semplici, come apparecchiare la tavola, farsi il segno della croce.
  • ALTERAZIONE DEL FUNZIONAMENTO ESECUTIVO, le capacità intellettive superiori si compromettono, risulta così difficile programmare la giornata o le azioni per il raggiungimento di un obiettivo, viene mano la capacità di astrazione e la flessibilità cognitiva.
E' bene ricordare che non si diventa per così dire vecchi e dementi, ma che la Demenza è espressione di una patologia sottostante come la Malattia di Alzheimer, la Demenza Vascolare o a Malattia di Parkinson .
Ad esasperare un quadro cosi complesso , vi sono i cosiddetti sintomi non cognitivi della Demenza, il soggetto può diventare aggressivo, agitato o apatico , depresso e man mano quelle che erano le sue attività sociali e lavorative vengono compromesse.
Possono essere , inoltre, presenti deliri e allucinazioni nella persona, ad esempio vede persone che non ci sono o ancora si convince di cose che non esistono .
Il disorientamento spaziale e temporale tipico della demenza, fa si che la persona si perda in luoghi conosciuti o che creda di vivere al tempo della sua infanzia.
Il mancato e scarso controllo in particolare di questi sintomi spingo i familiari all'istituzionalizzazione del paziente.
Sono ormai noti gli aspetti che rendono la demenza una patologia a carattere familiare, che richiede alla famiglia di adattarsi alla nuova situazione mobilitando le risorse che ha a disposizione; la famiglia infatti rappresenta ancora oggi il luogo privilegiato per la cura.
E' bene ricordare che colui che si prende cura del malato, il cosiddetto "Caregiver" non deve diventare esclusivo, ma deve potersi concedere degli spazi per sé, poiché un caregiver frustrato sarà incapace di prendersi cura adeguatamente del malato, poiché sarà meno empatico , mostrerà un ascolto meno attivo  e ciò farà si che dall'altra parte anche l'anziano si sentirà incompreso ed esaspererà i suoi sintomi, andremo così a creare un circolo vizioso dal quale risulta davvero difficile uscire.
Un altro problema importante in questa fase è dato dal fatto che il caregiver non riconosce più nella persona di cui si sta prendendo cura la moglie o il marito, la madre o il padre con cui ha condiviso una vita, e il malato non riconosce con il progredire della malattia i suoi stessi familiari.
Ciò fa si che ci si sente derubati dei ricordi , della propria storia affettiva.
Alcune convinzioni deliranti, sono lette dai familiari come un attacco nei loro confronti, ad esempio la convinzione del malato che qualcuno gli abbia rubato dei soldi, quando invece l'ha semplicemente messi in un cassetto e non se ne ricorda.
Ricordatevi che quello è un sintomo della malattia! E' utile che il caregevir sia consapevole e accetti il fatto che il proprio caro è ammalato e che il suo comportamento patologico non è intenzionale.
E' bene ricordare a se stessi che si è una risorsa fondamentale per il malato, informatevi sulla malattia, riconoscete i vostri limiti , condividete le vostre emozioni negative e vostri vissuti di difficoltà all'interno del nucleo familiare a anche per mezzo dei gruppi di sostegno psicologico.

GRAZIE ATUTTI i partecipanti del seminario.
Dott.ssa Jessica Ferrante